sabato 20 luglio 2019

Linea di Confine (Primo Sguardo)

Di Racconti che hanno la Luna come protagonista ne ho scritti tanti. Amo la Luna, amo il suo fascino, amo la sua presenza nel cielo nelle calde notti d'estate e la amo ancor di più in quelle fredde d'inverno. 
Oggi, in occasione del 50° Anniversario di quel primo passo umano sul nostro Satellite, voglio contribuire anch'io pubblicando su questo blog un mio Racconto di qualche anno fa (2011), inserito nella mia seconda Raccolta "Ignoti Messaggi in Bottiglia", sperando che lassù, negli anni a venire, tutto resti così com'è. Giorni di Primo Sguardo compresi.


LINEA DI CONFINE
(PRIMO SGUARDO)

Il cielo scuro sopra le loro teste era costellato da puntini luccicanti e pulsanti. L’aria calma e ferma sembrava cristallizzare il tempo intorno ai due, che si tenevano per mano avanzando sulla polvere grigia.
«Fa più freddo, oggi.»
Jok si girò verso il figlio: «Non più di tanto.»
Il piccolo guardò negli occhi gialli il padre. La sua pelle verde e squamosa sembrava essere meno lucida del solito.
«Sei stanco?»
«No. Ma non distrarti Kun, dobbiamo stare molto attenti. Sempre, ricordalo. Mai abbassare la guardia, mai. E sempre attento, sempre molto attento, mi raccomando.»
«A quelli?»
«A quelli.»
Il piccolo sembrava divertito. Avanzava sul terreno quasi trascinando il padre. I due indossavano delle tuniche grigie che sembravano essere un tutt’uno con il grigiore generale del paesaggio.
«Vai piano! Vai piano!»
«Dai, tanto non ci vedranno mai! Pensa a quando sono venuti...»
«Lascia perdere Kun. Non me lo ricordare!»
Il piccolo ridacchiò, arrestando per qualche secondo la sua corsa. Dalla tasca della sua tunica tirò fuori un piccolo cilindro metallico. «In caso di pericolo c’è questo, no?»
«Dovresti sapere bene dove puntarlo. Non puoi sapere da dove starebbero osservandoti, e...»
«Macché, basta agitarlo non appena si passa la Linea, no? E stai sicuro che se qualcuno avesse la fortuna di osservarci, beh, vedrebbe soltanto un riflesso inspiegabile. È così, non è vero? È così che mi hai detto e mi hanno sempre insegnato alla Scuola.»
Jok rivide in suo figlio il ragazzino che era stato; secoli prima.
«Un riflesso inspiegabile», ripeté Jok.
«Sì. Non è così?»
«Non sono tante, ormai, le cose che loro classificano come inspiegabili. E temo che saranno sempre di meno, sempre di meno, fino a quando tutto sarà spiegabile. Persino noi. E allora... beh, si vedrà. Dunque fai attenzione. La Linea di Confine dovrebbe essere ormai nei paraggi.»
Kun riprese a camminare a ritmo sostenuto.
Jok faceva fatica a stargli dietro. Sì, gli ricordava proprio lui, secoli prima, il giorno (o la notte) del suo “Primo Sguardo”. Erano altri tempi. Non esistevano cilindri magici da agitare per diventare invisibili ai famelici “Occhi di Vetro”. Non esistevano perché non servivano. Non ancora.
«Sono brutti gli Occhi di Vetro?»
«Non leggermi nel pensiero, Kun!», ringhiò Jok. «Lo sai che mi dà fastidio. E poi è maleducazione.»
Il ragazzino sorrise. Poi si fermò. Aveva ancora la sua piccola mano in quella grossa e verde scuro del padre. Le unghie appuntite erano nere e lunghe. «Perdonami, Padre. La prossima volta chiederò il permesso.»
Lo sguardo serio e grave di Jok bastò come risposta. Seguirono poi secondi di pesante silenzio.
«Sì, sono abbastanza brutti», esclamò poi il padre, rompendo il silenzio diventato di ghiaccio.
Kun sorrise. «Li vedrò?»
«Spero di no. Non ti perdi niente, sai?»
«Ma perché scappiamo? Vogliono ucciderci?»
«Non scappiamo. E no, non vogliono ucciderci. Almeno spero. È che...» Jok sembrò non sapere come continuare la frase. Poi: «È che sono tanti
«Come i vermoni?»
Jok ridacchiò. Poi rispose: «Più dei vermoni! E non strisciano.»
«Ah...» Kun sembrò preoccupato.
Jok riprese la marcia. I due continuarono a camminare per qualche minuto in silenzio. Poi, all’improvviso, ecco che sulla linea dell’orizzonte sembrò apparire qualcosa.
«Ci siamo...»
Kun guardò il padre, ora fermo accanto a lui. Il suo sguardo era rivolto all’orizzonte, che in quel momento sembrava più vicino del solito.
«Ci fermiamo qui?»
Jok osservò il figlio. «Il cilindro...»
Kun cominciò a far girare il piccolo cilindro grigio tra le quattro dita della mano destra. Lo puntò verso lo spicchio azzurro che faceva capolino dalla linea scura dell’orizzonte vicino. I due, così, avanzarono.
Ed ecco che gli occhi di Kun cominciarono a riempirsi di meraviglia, passo dopo passo, linea azzurra dopo linea azzurra, e di lì a poco il piccolo poté osservare, al di là dell’orizzonte, uno straordinario globo azzurrognolo e bianco stagliarsi contro il cielo scuro.
«È bellissima...»
Jok osservò il figlio con un sorriso pieno di malinconia. Gli mancavano i vecchi tempi, quando per osservare la Terra non c’era bisogno di stare attenti agli “Occhi di Vetro”, ovvero i telescopi, i satelliti, e chissà quali e quanti altri aggeggi infernali futuri. Bei tempi quelli, quando la Linea di Confine tra le due facce della Luna non esisteva nell’immaginario dei Seleniani, semplicemente perché i Terrestri non potevano scrutarli. Poi i primi satelliti, gli sbarchi, l’amore e – grazie al cielo – il disamore per quel Satellite così bello (visto da lontano) e così vicino. Ma ci sarebbe stato il ritorno di fiamma, certo che ci sarebbe stato. E allora? Cosa sarebbe successo allora?
Arriveranno i Terrestri, quelli che non strisciano, e stavolta ci staneranno... pensò.
Jok rivolse poi lo sguardo alla Terra. «Sì, è bellissima...», esclamò, cercando di non pensare al futuro, a quello che inevitabilmente prima o poi sarebbe successo, cercando di godersi il Primo Sguardo di suo figlio.
«Un giorno potremo visitarla?»
Jok sorrise. Un giorno saranno nuovamente loro a visitarci, e allora..., pensò.
Ma quel giorno era quello del Primo Sguardo di Kun, e non glielo avrebbe rovinato, per nessun motivo al mondo, al loro mondo, alla loro Luna.
«Un giorno forse sì, Kun. Un giorno.»
E Kun sorrise, occhi gialli pieni di meraviglia, cilindro roteante tra le dita.
E laggiù, sulla Terra, qualcuno guardando la Luna attraverso un occhio di vetro notò un riflesso, un leggero riflesso inspiegabile. Ancora inspiegabile.



© 2011 Guido Pacitto
tratto dalla Raccolta "Ignoti Messaggi in Bottiglia"

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