sabato 9 maggio 2020

L'Uomo e l'Isola (Episodio #004 - Come un Alveare)


EPISODIO #004 - Come un Alveare

Era passata un'altra notte. Un'altra notte di silenzio intervallato da urla, da grida. Da chissà cosa.
L'uomo uscì dalla sua capanna e stette per qualche minuto a osservare il mare, calmo, immenso.
«Che ti avevo detto?», esclamò all'improvviso. Non rivolto al mare, no, ma al pupazzo di paglia, legno, cocchi e conchiglie che se n'era rimasto nella capanna. «Oggi non pioverà.»
Il cielo era azzurro, limpido. Il sole, in quel momento della giornata dietro la piccola montagna alle sue spalle, illuminava sicuro il nuovo giorno da poco iniziato. «E a proposito», aggiunse, girandosi verso l'interno della sua capanna, osservando Wilson: «Buongiorno.»
Wilson non rispose al suo saluto. Come sempre.
Buongiorno, pensò l'uomo.
Ecco, aveva risposto. Quello non era il suo pensiero, ma quello di Wilson.
«Sì, buongiorno a te», esclamò ancora, sorridendo.
Rientrò nella sua capanna e bevve un sorso d'acqua da quella sorta di brocca che era riuscito a intagliarsi da quel pezzo di legno trovato in spiaggia tempo prima. Si sedette, dando le spalle a Wilson. Osservò il tavolo con sopra il grosso coltello. Poi, più in là, sull'altra sedia, lo zaino. Il suo zaino da escursioni, o meglio, da promesse escursioni, perché, da quando lo aveva comprato, anni e anni prima, di escursioni non ne aveva mai fatte.
Più escursione di questa..., gli rinfacciò una voce nella testa. La sua voce. O quella di Wilson.
Già, più escursione di quella...
Ma come si era ritrovato lì con sé quello zaino? Com'era stato possibile che, risvegliatosi, chissà quanto tempo prima, su quella spiaggia, in quella prima sera di terrore, di orrore, di spaesamento, si fosse ritrovato con quello zaino accanto?
«Sai Wilson, più passa il tempo più credo che su quest'Isola non ci sia capitato per caso», esclamò rivolto al pupazzo, alle sue spalle.
Ma riflettici, amico: magari quello zaino invece potrebbe essere la prova che tu sei finito qui proprio per caso..., si rispose mentalmente, immaginandosi quella risposta con una voce fanciullesca,  gracchiante, immaginandosi quella risposta con la voce di Wilson.
«Ah sì? E perché mai? Ritrovarmi su quella maledetta spiaggia in compagnia di uno zaino con all'interno un coltello e dei viveri, non so a te, ma a me fa pensare proprio a quello: non un caso. Qualcuno mi ha spedito qui, forse dopo avermi drogato pesantemente, lasciandomi uno zaino e un coltello per... per sopravvivere.»
Wilson gli rise alle spalle. Anzi, in testa.
«Ti sembra divertente?»
No... ma se qualcuno avesse avuto intenzione di farti sopravvivere in questo posto, avrebbe dovuto lasciarti ben più di uno zaino, un coltello, una borraccia e quattro panini. Non credi?, si rispose. Stavolta era stato proprio lui a chiederselo, e nessun altro. Nessun pupazzo di paglia e legnetti.
«E allora?»
E allora, magari..., la voce di Wilson tornò nella sua testa. Magari eri davvero in escursione. Magari ti eri convinto a prendere un aereo e abbandonare tutto e tutti, e tuffarti in un'avventura, che ne so, in qualche posto sperduto. E alla fine... boom, un incidente, o qualcosa del genere. Ed eccoti qui, su quest'Isola, con lo zaino che ti eri portato per quella nuova avventura, quel colpo di testa...
L'uomo sorrise. «Gran bell'ipotesi del cazzo, Wilson. Partire per un'avventura, da solo su un aereo, con soltanto uno zaino sulle spalle...»
Ma certo che no, coglione. Probabilmente non eri solo. E avevi valigie e attrezzature varie, ma sulle spalle, stretto a te, soltanto uno zaino..., si rispose con la sua voce.
«E il resto? Le valigie? Le attrezzature? Gli... altri
In mare? Magari in mare? Magari meno fortunati di te? A volte dovresti prenderti a schiaffi per quanto sei stupido e poco sveglio.
«Puttanate.» L'uomo si girò verso Wilson. «Non si sopravvive a un incidente aereo del genere. Non siamo in un film o un telefilm...» Come si chiamava quella Serie TV che aveva soltanto intravisto qualche volta? Quella che parlava di naufraghi su un'Isola misteriosa? Lost. Sì, forse si chiamava Lost. «Non siamo in Lost
E allora fottiti. Pensa quello che vuoi. Fatto sta che ti sei ritrovato in questo posto senza sapere come e perché, e senza ricordarti nulla del tuo recente passato. Sì, amico, fottiti. Io per oggi ho chiuso. 
L'uomo strinse forte i pugni e digrignò i denti. Si rese conto di essere sul punto di esplodere, come tempo prima, come quando aveva quasi del tutto distrutto Wilson. Cercò di calmarsi.
«Fottiti tu, Wilson», si limitò a dire, alzandosi. Raccolse lo zaino e ci infilò dentro il coltello. Poi ci ficcò anche due pietre focaie, mezzo cocco, radici commestibili e qualche bacca. Vi inserì anche la borraccia, quella che aveva trovato nello zaino la prima volta che si era risvegliato su quella stramaledetta Isola.
Finalmente si parte, eh?, gli chiese la voce del manichino all'interno della sua testa.
«Che ti avevo detto? Certo che si parte. Non ho paura di ciò che troverò lassù.»
Wilson restò come sempre impassibile, immobile, a osservarlo.
«Al mio ritorno ti farò una bocca.»
Si mise lo zaino in spalla e uscì dalla capanna. Stavolta non guardò il mare, ma s'incamminò direttamente verso l'intricata boscaglia dell'entroterra, come per non farsi venire dubbi, pensieri, ripensamenti. I suoi piedi toccarono erba, sassi, ramoscelli. Si fermò. Dall'interno della capanna gli sembrò di udire una risata.
«Fottiti ancora, Wilson», esclamò. E s'incamminò nel bosco.
L'aria si fece immediatamente più fresca. Gli alberi erano alti e rigogliosi, come l'erba sotto i suoi piedi nudi e intorno alle sue gambe sottili. Il suono del mare continuava a sovrastare tutto, ma in quel posto gli sembrò finalmente di udire altro. Insetti, forse. O uccelli. Non ne aveva visti tanti, su quell'Isola, ma il fatto di esser rimasto praticamente sempre in spiaggia poteva adesso regalargli qualche interessante novità, riguardo la fauna.
Come quelle cose che di notte gridano... e che sono sempre più vicine alla tua capanna..., pensò rabbrividendo.
E se si fosse trattato soltanto di volpi? Dai suoi ricordi, gli pareva che le volpi, di notte, urlassero più o meno alla stessa maniera.
Ma le hai sentite? Hai sentito davvero quelle urla? O ti stai prendendo ancora una volta per il culo?, si chiese mentalmente.
L'uomo non si rispose. Anche perché farlo, forse, avrebbe significato tornare alla capanna, e rinunciare ad addentrarsi in quel fitto bosco. E salire sulla montagna.
Cercando di non pensare ad altro, allora, s'incamminò deciso. Strappò qualche bacca commestibile e se le infilò nelle tasche dei pantaloni lerci e consunti. E continuò così, a camminare, a osservare, per minuti che inevitabilmente si trasformarono in ore. Il sole adesso era alto, e i suoi raggi filtravano attraverso le chiome verdi degli alberi alti. Uccelli, scoiattoli, e altri piccoli animali animavano quella piccola, splendida foresta, e l'uomo non riuscì a capacitarsi di come avesse fatto a rinunciarvi in tutto quel tempo passato invece su quella spoglia e scarna spiaggia.
«Anche se non dovessi trovare nulla, tornerò ogni giorno da queste parti», si disse a voce alta, per far sì che quella diventasse una vera e propria promessa fatta a se stesso. L'aria fresca, il verde, gli animali che finalmente gli donavano quel contatto con la vita che da tempo credeva di aver perso. Tutto in quel posto era diverso da quel paesaggio monotono e di morte che era la spiaggia.
E allora perché non provi anche a dormirci, in questo posto? Perché non provi anche a passarci la notte?
«Certo che ci proverò. Ma devo organizzarmi. Non mi piace dormire per terra», rispose con sicurezza alla domanda che si era fatto nella testa.
E le urla? Come la mettiamo con le urla che senti di notte?
Inizialmente sembrò non voler rispondere a quella domanda che si era posto mentalmente. Anzi, vi aggiunse altri pensieri: le senti così vicine, notte dopo notte... immagina di ascoltarle qui. Altro che più vicine...
«A qualunque cosa appartengano, se avessero voluto raggiungermi l'avrebbero già fatto. Non è immenso, questo posto. Forse non vogliono davvero raggiungermi. Forse sono loro ad aver paura di me.»
Quanta sicurezza infonde una giornata di sole. Quanta sicurezza ti dona la lontananza dal crepuscolo...
Ma qualcosa di buio i suoi occhi riuscirono a intercettarlo comunque. Tra liane e alberi, erba e felci, ecco una sorta di grotta. E, poco più su, un'altra ancora. L'uomo vi si avvicinò. Due grotte. Anzi, tre... con un'altra ancora più su, continuando verso la cima della montagna, adesso non più così lontana. I suoi occhi attenti saettarono tra alberi, felci, liane ed erba alta. E grotte. Stava per addentrarsi in una zona piena di grotte, dalle aperture variabili. Grandi, medie, piccole, piccolissime, tanto da apparire soltanto dei buchi. Il territorio che aveva davanti era costellato da una miriade di aperture nel terreno, scure e chissà quanto profonde.
È da lì che escono..., pensò.
«Che escono... cosa?», si chiese a voce non troppa alta. Il sole era sì alto nel cielo, forse allo zenit, ma la paura era arrivata comunque. Il buio, in fondo, era lì a due passi da lui. Tanti grandi, piccoli, medi bui. Tutti lì pronti a risucchiarlo; o a sputare fuori qualcosa.
Con la fronte che cominciava a imperlarglisi di sudore, cercò di trovare una parte che, salendo verso la cima della montagna, fosse sgombra di aperture. Avanzò di qualche passo verso la zona che più gli sembrava libera, per poi fermarsi di nuovo. Poco più su, ecco ancora una grotta. E un'altra ancora. E altre ancora...
Cercando di non farsi prendere dal panico,
(perché mai dovrei?!, pensò)
provò a valutare meglio la situazione: di spazi liberi ce n'erano in abbondanza. Poteva salire senza alcun problema, evitando di passare troppo vicino a quelle strane grotte; o magari semplici buchi. Dei semplici fossi che situati in una zona così in salita, apparivano come grotte. O come...
«Come un alveare. Un enorme alveare», esclamò rabbrividendo. E ampliando ancor di più lo sguardo, a destra, a sinistra, in alto, si sentì mancare. La testa gli girò, e fu costretto a chiudere gli occhi. Poi, riaprendoli, non poté più fare a meno di associare quei dannati buchi a quelli di un grande, gigantesco alveare.
Ci sei finito sopra, amico... anzi, dentro..., arrivò la voce di Wilson.
L'uomo, col cuore in gola, scacciò quei pensieri e riprese la marcia, lentamente. Cercò di stare più lontano possibile da quelle strane grotte, da quegli strani, enormi alveoli oscuri. S'immaginò, irrazionalmente, l'uscita di decine, centinaia di api gigantesche. Sorrise, ma con nervosismo. Raggiunse un punto in cui era inevitabile passare a un paio di metri da una di quelle grotte. Restò a fissarle per qualche minuto. Poi si decise, scacciando ancora una volta qualsiasi pensiero cattivo al riguardo. Si avviò, e arrivando nei pressi di una di quelle grotte, i suoi occhi non poterono fare a meno di guardarvi dentro, di scrutare fin dove la luce riusciva a illuminare. E oltre.
Nulla. Una semplice caverna, una semplice grotta. Si trovava su un'Isola con una particolare conformazione del terreno. Tutto qua. Magari, rifletté, dall'altra parte non ci sarebbe stata traccia di
(alveoli)
grotte, perché quella particolarità riguardava soltanto quella zona. La zona che, per puro caso, stava attraversando per raggiungere la cima della montagna.
Movimento.
Qualcosa si mosse alle sue spalle. Si girò di scatto. Nulla. Tirò un sospiro di sollievo, che gli venne strappato via dal petto da un altro movimento. Urlò. Da una delle grotte uscì qualcosa, di corsa.
«Cazzo...», esclamò rabbrividendo. Una lepre, velocissima, sfrecciò scomparendo nella vegetazione.
Grotte, caverne, buchi o alveoli, potevano essere rifugi di animali. Di qualsiasi specie. Lepri, volpi, lupi, orsi...
«Non ci sono lupi e orsi, qui...», cercò di tranquillizzarsi a voce alta.
E che ne sai?, si chiese nella testa con la voce di Wilson.
«Perché non ne ho mai visti, finora.»
Così come non avevi mai visto una lepre. Fino a un minuto fa, gli rispose beffarda quella voce che forse era di Wilson, forse era la sua. Forse era di qualcos'altro. Forse era dell'Isola stessa.
Sentì il bisogno di tornare al suo rifugio. Di tuffarsi a capofitto in discesa verso la spiaggia, verso il mare. Il giorno era arrivato ormai a metà del suo corso, forse anche più in là. La notte, dunque, era più vicina.
Se non dovessi fare in tempo ad arrivare in cima, ricorda che c'è la Luna piena, stanotte. E poi...
«E poi cosa?», chiese alla voce di Wilson nella sua testa.
E poi, per riposarti, per ripararti, potresti usare una di queste grotte...
L'uomo sospirò. Guardò verso l'alto, verso la strada in salita, costellata da decine e decine di aperture nel terreno. Doveva continuare, doveva arrivare in cima, perché non aveva più nulla da perdere.
«Ti chiedo soltanto una cosa...», esclamò apparentemente al nulla. «Fa' silenzio, Wilson.»

4 commenti:

  1. Stavolta mi è venuta ansia.
    In effetti mi piacciono i dialoghi con Wilson, che lo riporta sempre alla razionalità (o almeno, alla logica dei pensieri).
    Chissà chissà... Ma tu hai tutto in mente? Sai cosa è successo a quest'uomo e come mai è finito lì? XD

    Moz-

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  2. Il bello della Scrittura è proprio questo: a volte sai bene dove andrai a finire. Altre volte no, e ti lasci trasportare dalla storia. Altre volte ancora, e forse, chissà, potrebbe essere questo il caso, sì, hai tutto in mente, ma non è detto che alla fine si andrà davvero in quella direzione. La sterzata, anche violenta, può sempre arrivare all'improvviso... e piacerti di gran lunga di più rispetto alla strada ben dritta che avevi davanti ;)

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  3. Ehehe esatto: bello quando è così. La storia c'è ma potrebbe prendere il sopravvento :)

    Moz-

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  4. È esattamente quello che mi accade spesso. E quanto mi piace! :D

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