EPISODIO #003 - Domani non pioverà
Come funziona esattamente la memoria? Come si può arrivare a ricordare cose di un passato molto remoto, e a scordarne altre di un passato recente, recentissimo?
Lo shock..., pensò l'uomo sull'Isola, per l'ennesima volta.
Un forte shock può farti perdere la memoria a breve termine..., pensò ancora, sforzandosi di ricordare il più possibile del suo recente passato, del suo arrivo su quell'Isola.
Sì, un forte shock può provocare problemi del genere, credo di averlo letto da qualche parte, in passato...
Ed eccolo, il passato, quello che ricordava a dispetto di quello che gli era accaduto più recentemente. Un passato fatto di incontri, di abbracci, di risate, di letture, di film... sì, di film.
L'uomo guardò quella sorta di spaventapasseri all'interno della sua capanna, fatto di erba secca, noci di cocco, legnetti e conchiglie. Il suo "Wilson".
«Ti ho dato il nome che il protagonista di un film, di cui adesso non ricordo il titolo, diede al suo pupazzo, anzi, alla sua palla, quando si ritrovò più o meno nella mia stessa situazione, sai?»
C'era stato un periodo, fino a qualche tempo prima, in cui l'uomo parlava spesso al suo Wilson. Gli raccontava di ciò che ricordava della sua vita antecedente all'Isola, dei suoi amici, delle sue donne, del suo lavoro e dei suoi hobby. Ci parlava spesso perché parlarci lo faceva stare bene, lo faceva sentire meno solo, e lo aiutava addirittura a ricordare cose nuove. Poi, però, qualcosa si era rotto, e negli ultimi tempi aveva cominciato a non dargli neanche il buongiorno.
«Non guardarmi così», esclamò l'uomo al pupazzo. «Lo stronzo sei stato tu. Non rispondevi mai.»
In quel momento gli tornò alla mente l'attimo in cui aveva deciso di mandare al diavolo Wilson. Era una mattina fredda e piovosa, e all'ennesima mancanza di una sua risposta al suo buongiorno, l'uomo era stato colto da una rabbia incontrollabile, e aveva picchiato con violenza il pupazzo, quasi distruggendolo del tutto. Per poi rimetterlo in sesto.
La pazzia è dunque arrivata già da tempo, gli sussurrò una voce nella testa, mentre continuava a fissare Wilson.
«Come?», gli chiese a voce.
Ma Wilson non rispose. Perché non era stato Wilson a parlargli.
«Non dirmi che vorresti parlare ma che non ci riesci...»
Wilson sembrò muovere leggermente la piccola testa di cocco. Leggermente.
«Sì, dovrei farti una bocca, intagliartela, e non disegnartela con un tizzone del cazzo. Sì, forse te la farò.»
Pazzia o meno, scambiare quattro chiacchiere con un pupazzo inanimato invece che con se stesso... sì, lo faceva stare bene.
«Sì, mi fa stare bene. Anzi, meglio. Scusami se ti ho fatto del male. Scusami se non ti ho più parlato come un tempo», aggiunse l'uomo, avvicinandosi a Wilson, che se ne restava fermo a fissarlo con i suoi occhi fatti di conchiglia. Restò per qualche secondo in silenzio, a un passo dallo spaventapasseri, anche se di passeri, su quell'Isola, non ce n'erano. Poi si calò verso di lui, e gli chiese: «Come? No, no... non sto qui a perdere tempo per paura di andare lassù. È che voglio aspettare domani. La Luna sarà piena, e anche se dovessi far tardi, ritrovarmi lì di notte, la sua luce mi aiuterà.»
Wilson lo fissò in silenzio.
«Vuoi venire con me?»
Smettila di fare il coglione, smettila di far finta di aver accettato la tua pazzia. Non sei pazzo, amico, sei soltanto disperato.
«E c'è differenza?», chiese a quella voce nella sua testa. «C'è differenza tra pazzia e disperazione in una situazione come la mia?», chiese a Wilson.
Entrambi non risposero.
L'uomo, lisciandosi la lunga barba, spaziò con lo sguardo all'interno del suo rifugio: era diventato bravo col legno. Si era fabbricato una sorta di tavolino, un paio di sedie, e una specie di libreria. Anzi, una dispensa, visto che sopra non c'erano appoggiati libri, ma cocchi, radici, bacche, pesce secco.
Che belli i tempi in cui pensavi di morire intossicato, eh?, si chiese mentalmente, fissando quel pesce.
E invece ti toccherà salire lassù per farlo...
«Per fare cosa?»
Morire, si rispose immediatamente nella testa.
Era sul punto di rispondere con un "Magari", ma non lo fece. Dopo tutto quel tempo da solo, passato con se stesso e nessun altro, era inutile continuare a prendersi in giro. Tutto quel tempo da solo lo aveva aiutato a conoscersi meglio, ed era chiaro che uno come lui non era il tipo da "Magari morire".
E non menarla ancora con la storia della corda. Non serve mica una corda per morire...
L'uomo si girò verso Wilson. «Ah sì? E come potrei farlo, allora?»
Hai presente quando il mare è mosso? Quando piove, diluvia, e ci sono vento e fulmini?
«Certo...»
Ecco, buttati a mare. Gettati nel mare, in quei momenti, e vai al largo. Vedrai come sarà facile morire. Senza corde.
«La fai facile, tu», rispose a Wilson, immobile e silenzioso.
E un'altra cosa...
Wilson non parlava. Ma pensava. Ecco, magari pensava, e quei pensieri, quella voce che sentiva nella testa, forse era proprio quella di Wilson.
Certo che è la mia...
«Bene. È la tua, Wilson. Ma... dicevi?», gli chiese continuando a fissarlo, a distanza, mentre armeggiava con una sorta lancia ottenuta da un ramo.
Hai detto che aspetterai domani per salire lassù, in montagna. Giusto?
«Giusto, Wilson.»
Per avere il favore della luce lunare anche di notte, vero?
«Verissimo.»
E se non dovesse esserci, la Luna?
«La Luna c'è sempre, amico.»
Non far finta di non capire: e se fosse nuvoloso? E se piovesse? Non sarebbe addirittura peggio di oggi?
L'uomo non rispose.
E poi, anche se non del tutto piena, stanotte comunque ci sarà una gran bella luce lunare.
«Domani non pioverà.»
E chi lo dice?
«Lo dico io. Ho imparato a sentire il profumo delle nuvole, della pioggia. Domani non pioverà.»
E se dovess...
«Domani non pioverà», ripeté l'uomo, quasi urlando contro il fantoccio immobile. Rivolse la lancia verso di esso, e, con tono minaccioso, aggiunse: «Capito?»
Wilson forse aveva capito, ma non glielo disse. Continuava a fissarlo in silenzio.
«Non rispondi più? Ti sei convinto?»
Sì, era evidentemente convinto.
«Al mio ritorno ti creerò una bocca. Quel semplice segno sbilenco che hai sotto il naso non ti serve a niente.»
Hai finito con il tuo show da finto pazzo?, arrivò ancora una volta una voce nella sua testa. Ma stavolta non era quella di Wilson.
«Finto pazzo? Ti sembro un finto pazzo?»
Direi di sì...
«Mi sto semplicemente sfogando. Ne ho bisogno. So bene che Wilson non pensa, non parla, e non lo farà neanche quando gli intaglierò una bocca. Ma ho bisogno di sfogarmi, di distrarmi. Ho bisogno di incazzarmi, di litigare con qualcuno.»
Stavolta la voce nella sua testa sembrò soddisfatta. E se ne stette zitta.
«Bene», concluse l'uomo. Diede ancora uno sguardo al fantoccio e poi uscì dalla capanna. Il sole aveva cominciato ad avviarsi verso il mare. «Cast Away», esclamò proprio al mare, di fronte a lui. «Il film s'intitola Cast Away.»
E l'attore? Come si chiama l'attore di quel film?, chiese il mare.
«Cominci a parlarmi anche tu?»
Sei tu che hai cominciato a parlare con me. Da tanto tempo, ormai. E poi, a pensarci bene, se ti guardi intorno, credo di essere davvero l'unico a parlare davvero, in questo posto.
L'uomo restò per qualche istante in silenzio, piedi nudi nella sabbia, sguardo fisso verso il mare. «Tom Hanks», rispose, finalmente. «L'attore si chiama Tom Hanks.»
Beh, almeno ha ricordato il film e l'attore. Evidentemente la memoria ancora non lo abbandona, mentre invece il cervello sembra di sì...
RispondiEliminaDai, fallo andare sulla montagna :)
Moz-
Eh... mica decido io... :D
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