sabato 18 aprile 2020

L'Uomo e l'Isola (Episodio #002 - Soltanto la Vita)


EPISODIO #002 - Soltanto la Vita

Con la luce del sole tutto appare più gradevole. Anche un posto come quello.
L'uomo uscì dalla sua capanna, con gli occhi arrossati, le ossa doloranti. Non aveva dormito, quella notte. O forse aveva dormito e sognato, così vividamente da sembrare di non aver dormito, a udire quelle urla nella notte, sempre più vicine. 
Scosse la testa. No, non poteva ancora una volta far finta che quelle urla, quelle grida, quei versi, fossero soltanto frutto della sua immaginazione o, meglio ancora, di sogni, di incubi. Quelle urla, quelle grida, quei versi erano reali, e la sola luce di un nuovo giorno non poteva relegare tutto a immaginazione. Quel giorno, si impose, non avrebbe accolto il conforto della luce del sole, del cielo azzurro, del mare calmo, altrettanto azzurro, e della sabbia calda e gialla. Quell'esplosione di colori, luce, di aria calma e confortevole, non lo avrebbe più distratto dal problema.
Sorrise.
Problema.
Come se ce ne fosse soltanto uno, per lui, in quel posto.
Si guardò intorno. Davanti a lui sabbia che si tuffava nel mare. Ai suoi lati sabbia e ancora sabbia, in una spiaggia che sembrava infinita. Dietro di lui erba, alberi, rocce, e quella sorta di montagna da cui arrivavano quelle grida nella notte. Una montagna verde, rigogliosa, che sembrava un vulcano spento al centro dell'Isola.
E forse lo è davvero, pensò.
Svegliati allora, svegliati Vulcano, e spazza via tutto, spazza via questo posto di merda, spazza via me, pensò ancora.
Si guardò di nuovo prima a destra e poi a sinistra. Quando era stata l'ultima volta che aveva percorso il lungomare, per intero, per poi tornare al punto di partenza? Era così che aveva scoperto di trovarsi su una stramaledetta isola. La prima volta ci aveva messo un giorno per percorrere l'intero perimetro, per arrivare nel punto in cui aveva deciso di ergere la sua capanna, il suo rifugio. Un giorno intero che giorno intero non era, in fondo, per le pause che era stato costretto a fare per riposarsi, per mangiare qualcosa, per pisciare. Per piangere. Quanto aveva pianto quella prima volta?
Provò a ricordare il sapore delle lacrime. Provò a ricordare il sapore di quelle lacrime. 
«Quanto sei grande, Isola di merda?», chiese al nulla.
Ma il nulla, di solito, non risponde. E non rispose. 

Aveva percorso la spiaggia, il lungomare per intero, da capanna a capanna, altre due volte oltre quella prima volta, quella prima scoperta. Alla ricerca di qualcosa, di un segnale di vita, di un segno di passaggio, di un oggetto che gli ricordasse da dove arrivava, di un oggetto che gli facesse capire che lì, in quel posto, non era solo, perché non poteva essere solo. Eppure...
«Eppure sono solo», esclamò al nulla. 
Solo.
Possibile che in quel posto ci fosse finito soltanto lui? E che, prima di lui, non ci fosse finito nessun altro? E, soprattutto, come cazzo ci era finito su quell'Isola? Eccola, la domanda. La domanda del giorno. La domanda di ogni giorno. Ecco, bene... anche quel giorno, di prima mattina, si era fatto la domanda delle domande, e anche quel giorno, di lì alla sera, non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
Ricordò allora i primi giorni, quelli in cui credeva - beato - di essere morto, e che quel posto fosse il paradiso, o il purgatorio, o l'inferno. Non era mai stato un credente, ma dubitava che un credente fosse in grado di riconoscere il paradiso, o il purgatorio, o l'inferno...
E questo come lo chiami, se non inferno?, gli bisbigliò una voce nella testa. La sua voce.
«Questo posto non è l'inferno», gli rispose a voce alta. «Ho sperato che lo fosse. L'ho sperato davvero.» Gli faceva bene sentire la sua voce. Lo faceva sentire meno solo. E allora: «E invece non lo è. Perché purtroppo non sono morto.»
E questo, dunque, non è l'inferno. E non è il paradiso. E non è nemmeno il purgatorio, aggiunse mentalmente.
E allora cosa diavolo è?, gli chiese ancora una volta quella sua voce infida nella testa.
«È una cazzo di Isola», rispose, stringendo forte i pugni.
Tornò con lo sguardo verso l'entroterra. Quanto aveva esplorato di quel bosco? Quanto si era spinto all'interno? Quanto si era inoltrato verso quella montagna, quella sorta di vulcano spento?
Poco. 
Che la salvezza, dunque, potesse arrivare da lì? Che tutto quel tempo passato a piangere, a tremare, a maledire, a farsi domande senza risposte, a cercare di ricordare, a cercare di sopravvivere... che tutto quel tempo fosse stato soltanto tempo perso? Che la salvezza fosse stata sempre lì, da qualche parte là dentro? Da qualche parte lassù? 
«La salvezza...», esclamò sorridendo, scuotendo il capo. «La salvezza...», ripeté, con il tono di voce di chi si diverte a prendere per il culo l'interlocutore. Di chi si diverte a prendere per il culo se stesso.
Ma perché non si era mai spinto in quell'entroterra? Perché non aveva mai davvero cercato qualcosa là dentro, invece di starsene lì su quella maledetta spiaggia a imprecare, a piangere, a maledire la sua memoria e a maledire se stesso? Perché?
Perché hai paura... pensò, senza esclamarlo, perché certe cose è meglio non dirle a voce alta, o a voce e basta. Perché certe cose è meglio far finta di non crederle davvero. Perché alla paura cedono i deboli, cedono i bambini, cedono...
«Perché ho paura», esclamò. Rabbrividì, come aveva rabbrividito appena una sera prima, con i piedi nell'acqua, mentre si chiedeva da quanto tempo fosse in quel posto.
Già... da quanto tempo?, gli sussurrò ancora una volta quella voce nella testa, che cominciava a dubitare fosse la propria. Ma stavolta quella voce, quella domanda, era stata soltanto un sussurro. Un sussurro nella testa. E non fu difficile scacciarla. Anche perché una voce più forte, una voce vera, aveva appena esclamato qualcosa di ben più importante, di ben più grave. «Ho paura», disse ancora, guardando il bosco, la giungla, la foresta. Come diavolo poteva chiamarsi quell'intrico di erba, alberi, liane, rocce?
Ha importanza?, si chiese col pensiero.
«No», si rispose con la voce.
L'unica cosa davvero importante era in quel momento lì di fronte a lui. L'entroterra. Il bosco. La giungla. La foresta.
«La montagna», esclamò ancora. Arrivare lassù per cercare qualcosa, una risposta, magari la verità.
Sorrise, scuotendo la testa, toccandosi la barba bruna. Non ci credeva. La verità, ne era quasi sicuro, sarebbe arrivata soltanto dopo il suo ultimo respiro. Illuminazione, paradiso, purgatorio, inferno. O buio. O nulla. Ma pur sempre una verità assoluta. Ecco, quando sarebbe arrivata la verità.
Ma da lassù potresti vedere se c'è qualcosa oltre il mare... forse altre isole, forse altra terraferma. Forse altro. Forse altri...
Stavolta quei pensieri li accolse con maggiore entusiasmo. Se maggiore entusiasmo può definirsi un mezzo sorriso sulle labbra.
O forse potresti vedere se c'è qualcosa qui, sull'Isola...
Quella voce nella testa tornò. La sua. O forse no.
«Che cosa?» Che bello parlare con se stesso. Che bello parlare da soli. Ma è poi così strano parlare con se stessi in un posto come quello, dopo tutto quel tempo, da soli? Certo che no. E allora... «Che cosa dovrebbe esserci qui sull'Isola? Che cosa potrei vedere qui sull'Isola?»
La fonte di quelle urla nella notte, per esempio..., gli rispose provocatorio il suo pensiero.
L'uomo rabbrividì come mai prima di quel momento. S'immaginò lì, nell'entroterra, tra la fitta vegetazione di notte, con la sola luce di un piccolo fuoco acceso tra gli alberi. E rabbrividì ancora.
Non cercavi forse la morte, fino a qualche giorno fa? Sbaglio o stavi pensando a come fare per impiccarti? Sbaglio o ti sei maledetto per non aver mai imparato a fare un nodo? Sbaglio o ti sei maledetto per non aver trovato... no, non cibo diverso da pesce, non birre, libri, riviste, no... sbaglio o ti sei maledetto per non aver trovato una cazzo di corda con cui poterti impiccare?, gli chiese ancora la voce nella sua testa, stavolta chiaramente sua.
«Penso che suicidarmi sia l'unico modo per evadere da quest'Isola», gli rispose. «Ma non ne ho la forza. Né i mezzi.»
I mezzi, allora, potrebbero essere là. Quelle cose che urlano, che gridano, che ti fanno tremare, per esempio... perché aspettarle? 
«Perché ho paura...», rispose ancora a se stesso, conscio della sua irrazionalità, della sua incoerenza. Aveva voglia di morire, e allo stesso tempo aveva paura di farlo. 
In quel bosco, in quella foresta, in quella giungla, forse c'era davvero qualcosa. Forse non la verità, forse non delle risposte. Ma una cosa era certa: continuare a starsene lì, su quella spiaggia, in quella capanna, a mangiare pesce, bacche e radici, non lo avrebbe portato da nessun'altra parte che non fosse quella spiaggia e quella capanna. 
Si guardò intorno, girando intorno, piedi affondati nella sabbia, per poi tornare a guardare la vegetazione rigogliosa dell'entroterra. Aveva più senso provare paura in una situazione come quella? La paura, in definitiva, si provava grazie a ciò che si temeva di perdere. E lì, in quel posto, cosa aveva da perdere?
«Soltanto la vita», si rispose. 
E quanto ci tieni a questa tua vita, adesso?, si chiese mentalmente.
Stavolta non si rispose. Avanzò però verso la sua capanna, e, una volta entrato, cercò di capire cosa gli avrebbe fatto comodo portarsi dietro per affrontare il viaggio verso la montagna.

2 commenti:

  1. Un po' di ansia mi è venuta...
    Mo speriamo bene che ci sia qualcosa sulla montagna... o almeno si scorga qualcosa^^

    Moz-

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  2. Dai che è stato sempre il mio sogno ritrovarmi da solo su un'isola sperduta... :D

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