domenica 17 maggio 2020

L'Uomo e l'Isola (Episodio #005 - Piangi pure)


EPISODIO #005 - Piangi pure

Il fitto bosco, la vegetazione rigogliosa, e quelle scure aperture, quelle oscure grotte. Quanto mancava alla cima? E perché continuava a perdere tempo restandosene lì, fermo?
In quel momento si aspettò che nella sua testa tornasse la beffarda voce di Wilson, a schernirlo, a fargli notare che, se continuava a starsene fermo, sarebbe arrivata la notte. E con essa le urla. E con essa, in quel posto, lontano dal suo rifugio, la fonte delle urla.
Ma la voce di Wilson non arrivò. Quei pensieri erano i suoi, i suoi soltanto.
«Bravo Wilson, continua a tacere», esclamò l'uomo continuando a guardare davanti a sé, verso il bosco che saliva, là verso la cima, tra alberi, erba e buche.
Grotte, si corresse mentalmente. Sono grotte.
Sì, era sicuro che si trattasse di grotte. Se le immaginò addirittura collegate tra loro, in un labirinto intricato nelle viscere dell'Isola.
Quanta fantasia...
«Sono soltanto grotte. Semplici, naturali grotte», esclamò, come per tornare con i piedi per terra; anche se la terra che aveva sotto i piedi in quel momento non gli aveva mai regalato sicurezza in tutto quel tempo passato lì.
Anche quelle piccole?, gli chiese ancora una voce nella testa. Anche quelle piccole sono... grotte?
«Anche quelle piccole», rispose ad alta voce. «Lì si rifugiano lepri e altri piccoli animali.»
E in quelle grosse? Cosa si rifugia in quelle grosse?, gli chiese un'altra voce nella testa.
«Ti ho detto di far silenzio», intimò all'assente bamboccio che era rimasto nel suo rifugio. Osservò le scure grotte più grandi, gli scuri alveoli di quell'enorme alveare nel terreno. Sì... da una delle più piccole era venuta fuori una lepre, correndo; e spaventandolo. Cosa poteva uscirne, dunque, da una più grande? Cosa poteva uscire, magari, da quella che se ne stava proprio lì a qualche passo da lui?
All'improvviso sentì il bisogno di
(scappare)
muoversi, per allontanarsi da quella grande caverna che gli era vicina. Ma continuando a salire, sarebbe passato inevitabilmente vicino ad altre grotte simili, o addirittura più grandi.
Ci ho visto dentro, ecco... ci sto guardando dentro anche adesso, in quella cazzo di grotta, e non c'è nulla... niente di niente, cercò di tranquillizzarsi col pensiero.
E in effetti sembrava non esserci nulla. Sembrava. Perché quella grotta, quella a pochi passi da lui, era profonda, e la luce non riusciva ad arrivare fino in fondo. E lì, sul fondo, forse...
Scacciò ogni altro suo pensiero, e riprese a camminare, zaino in spalla, verso la cima. Non poteva essere tanto distante, ed era sicuro di poterla raggiungere prima che facesse buio.
E poi?, tornò la voce di Wilson.
«E poi si vedrà», gli rispose, come se non gli avesse mai ordinato di starsene zitta.
La luce del sole continuava a filtrare attraverso le folte chiome verdi degli alberi. I canti degli uccelli, finalmente, gli regalarono una parvenza di normalità. L'uomo accelerò il passo, superando con destrezza e sicurezza piccoli buchi, aperture poco più grandi, grotte decisamente più grandi. Cercava di non pensare a nulla, di camminare e basta. Quei soffi di vento freddo che sentiva ogni volta che passava accanto a quei buchi erano sicuramente creati dalla suggestione. Non spirava niente, da quelle aperture. Niente di niente.
Ben presto arrivò in un punto in cui le aperture nel terreno si fecero più fitte, e la pendenza più accentuata, tanto che a volte era costretto a delle vere e proprie scalate, aiutandosi con le mani, aggrappandosi a radici, pietre, affondando nella terra e nell'erba. Le grotte, tante, tantissime, lo circondavano, e a nulla serviva ormai provare a non guardarci dentro, a non sbirciarci.
«Sono solo grotte...», esclamò ansimando. Era stanco, e aveva il fiatone. «Sono solo grotte», ripeté.
Davanti a lui una di esse, profonda, scura, gli si presentò come un'enorme bocca pronta a divorarlo. La luce arrivava fino a qualche metro al suo interno. Oltre, soltanto il buio.
Ai lati della grande apertura nel terreno in salita, il passaggio non sarebbe stato semplice. Pareti ripide, con pochi appigli comodi, e altre piccole grotte poco sopra. E grotte ai lati. Ma la cima era lì, vicina, e non poteva arrendersi. Doveva in qualche modo salire, arrampicarsi, oppure...
Oppure procedere di lato, verso sinistra o destra, fino a trovare un punto in cui la scalata sarebbe stata meno difficoltosa, in cui, magari, il terreno verso la cima sarebbe tornato semplicemente un terreno in salita, e non delle vere e proprie pareti ripide.
Si guardò così ai lati. Poi di nuovo davanti a lui, verso quella caverna oscura. Mai, da quando aveva incontrato le prime, era stato così vicino e così in buona posizione per scrutarvi all'interno. Un interno illuminato a fatica, e soltanto nei pressi dell'entrata.
Soltanto perché c'è poca luce... perché gli alberi non permettono alla luce del sole di illuminare tutto come dovrebbe..., tentò di tranquillizzarsi mentalmente.
Ma perché?
Perché è chiaro che in quella caverna che hai di fronte la luce non entra perché non può entrare..., gli arrivò in soccorso la voce di Wilson.
L'uomo non gli rispose. Cercò, anzi, di ignorarla. Ma quella caverna, quella grotta, o meglio la sua entrata, sembrava per davvero illuminata in maniera strana. Innaturale...
«Stronzate...», esclamò, continuando a fissare quel buio oltre quei pochi metri che la luce del giorno rendevano visibili. Poi il buio. Netto.
Lì la luce non può entrare..., si disse nella testa, stavolta con la sua voce.
Sentì violenti brividi scuotergli il corpo. Strinse i pugni, strinse i piedi, strinse i denti, come in preda a qualcosa di... elettrico.
Se solo avessi una torcia..., pensò, mentre continuava a stringere i pugni, forte, fin quasi a farsi male. Fino a farsi male.
Se solo tu avessi avuto una torcia, avresti comunque fatto meglio a non provare a illuminare l'interno di quella grotta...
«E perché mai? Perché, Wilson?»
Perché così facendo avresti avuto la conferma.
«La conferma di cosa?»
La conferma che quel buio che vedi all'interno di quella grotta, così come il buio all'interno delle altre, non è un buio normale. Così come, dunque, l'interno, le profondità, le viscere di quest'Isola...
L'uomo ascoltò quei pensieri nella sua testa con la voce di Wilson. Non più beffarda, non più sprezzante, ma seria, cruda. Solenne.
Quel buio che cominciava così netto, effettivamente, non sembrava per niente naturale, per niente normale.
Non è normale..., ritornò la voce di Wilson.
In quel momento l'uomo ebbe come l'assoluta certezza che se avesse avuto una torcia, non sarebbe mai e poi mai riuscito a illuminare l'interno di quella grotta. Così come l'interno delle altre... così come le viscere di quell'Isola maledetta. Non ci sarebbe mai riuscito perché...
«Perché non è un buio normale. E queste non sono grotte normali», esclamò.
O forse pensò soltanto.
I suoi occhi erano fissi e sgranati verso quella grotta davanti a lui, verso quel buio così buio poco oltre. Un buio oltre il quale nessuna luce sarebbe mai potuta filtrare, sarebbe mai potuta arrivare, avrebbe mai potuto illuminare. Un buio contro cui ogni tipo di luce, persino quella del sole, come stava osservando in quel momento, si sarebbe infranta inesorabilmente, arrendendosi a esso.
Fallo..., gli suggerì una voce nella testa. Non era quella di Wilson. Forse non era nemmeno la sua. Forse era quella dell'Isola. Forse quella di qualcun altro. O quella di qualcos'altro.
Fallo..., ripeté quella voce nella testa.
«Fare... fa... fa... fare co... co... fare cosa?», riuscì infine a balbettare con estrema difficoltà.
Piangere..., gli rispose immediatamente la voce nella testa. Lasciati andare. Piangi pure...
«Per... perché? Perché dovrei piangere?», esclamò stavolta con maggiore decisione, avvertendo comunque una terribile sensazione di disagio, e un fastidio umido in fondo agli occhi.
Per quello che sta per succedere. Anzi, per quello che è già successo..., gli rispose ancora la voce estranea. Che in fondo non poteva essere estranea. Che in fondo era la sua, era sempre stata la sua. Doveva essere la sua...
Il cuore gli batteva forte nel petto, talmente forte che gli venne voglia di poggiarsi una mano sul torace, come per contenerlo, come per impedirgli di saltare fuori. E quel gesto, quel semplice gesto, quel semplice movimento, gli bastò per tornare alla realtà.
Davanti a lui la grotta, scura, ancora più scura. Troppo scura. Come tutto il resto.
Buio. Soltanto buio. E sprazzi di realtà illuminati da una luce troppo tenue.
Il sole se n'era andato. Ed era arrivata la notte. E la luna piena alta nel cielo, oltre le foglie alte degli alberi.
Rabbrividì, esclamando qualcosa di incomprensibile persino alle sue stesse orecchie, e facendo finta di non accorgersi della sensazione di bagnato che gli scivolava calda lungo le cosce, fino ai piedi. Si guardò attorno, spaesato, ancor peggio, mille volte peggio di quando gli era sembrato di essersi assopito sulla spiaggia mentre rifletteva, soltanto un paio di giorni prima.
«Cristo...» Esclamò finalmente qualcosa di comprensibile.
Fallo..., arrivò nuovamente la voce nella testa. Ma stavolta era la sua. Lasciati andare... piangi, piangi pure..., lo invitò, anzi si invitò con quella voce nella mente.
Ma non aveva bisogno di inviti; lo stava già facendo.

2 commenti:

  1. Uh... beh, voglio capire se, oltre la solitudine e la paura (e il galoppante squilibrio) ci siano effettivamente altri motivi per piangere... in quel buio innaturale.
    Curiosità a mille.

    Moz-

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  2. Grazie! Beh, speriamo che il nostro eroe non ci pianti all'improvviso sul più bello! ;)

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