Ho aspettato invano l'arrivo di "The Lighthouse" nei cinema italiani, e dopo l'uscita in DVD, e la situazione pandemica attuale, ho ben capito che quell'arrivo non ci sarebbe stato. E allora via con la visione casalinga di uno dei film che, fin dal lancio del primo trailer, attendevo di più.
La seconda opera di Robert Eggers, di cui mi era già piaciuta tantissimo la prima, "The Witch", non delude affatto, e per quanto mi riguarda il regista statunitense quindi riesce a fare due su due. Un film, questo Faro, girato completamente in bianco e nero, che per la storia narrata è una scelta del tutto azzeccata. Come risulta azzeccato anche il formato in 35mm. Ma di cosa parla questo film?
Due uomini, il vecchio custode stagionale del faro Thomas Wake e il suo giovane assistente Ephraim Winslow, si ritrovano ad affrontare per quattro settimane il loro turno su un'isola sperduta. Questo breve soggiorno, però, si trasformerà presto, soprattutto per Ephraim, in una convivenza molto difficile, costellata da litigi, visioni, lavori pesanti e... un'attesa più lunga del previsto. Anche in questo film, quindi, Eggers affronta il tema della follia da solitudine, così come in The Witch, dove a isolarsi era stata un'intera famiglia. Al contrario di quest'ultimo, però, The Lighthouse pecca proprio nella parte "sovrannaturale", se proprio vogliamo trovarcene una. Argomento forse soltanto toccato, e per questo a mio parere paradossalmente sovraesposto in maniera esagerata. Il resto del film, però, mi è piaciuto parecchio, a cominciare dalle belle prove dei due attori; e se Willem Dafoe non aveva bisogno di conferme, particolarmente piacevole è stata quella di Robert Pattinson, sempre più lontano (per fortuna) da quel pallido (in tutti i sensi) ruolo che tanto lo ha segnato.
Ma la vera forza di questo film è il forte, profondo simbolismo che trasuda da ogni sua scena in bianco e nero. E se a una prima occhiata la spirale di follia verso cui si spinge potrebbe sembrare fine a se stessa, è importante per lo spettatore non fermarsi a quella prima impressione, e andare a studiarsi, letteralmente, il film e il suo simbolismo per poterlo apprezzare davvero. Un simbolismo che verso la fine si spinge all'estremo, andando a riprendere addirittura un dipinto di Sascha Schneider in una scena molto forte, d'impatto, che riesce a concentrare in se stessa tutto ciò che il film ci ha raccontato, compresa una componente sessuale accennata ma che riusciamo a comprendere chiaramente. Simbolismo forte come i miti che scomoda, da Prometeo a Proteo, e...
E mi fermo qui. Il resto lo vedrete voi.
E mi fermo qui. Il resto lo vedrete voi.
Non farò spoiler, e quindi vi risparmio le ipotesi riguardanti il finale, perché si presta a diverse interpretazioni.
Per finire, credo che The Lighthouse sia un film che lascia poco spazio alle mezze misure: o si promuove o si boccia. Io l'ho promosso. A pieni voti.
Per finire, credo che The Lighthouse sia un film che lascia poco spazio alle mezze misure: o si promuove o si boccia. Io l'ho promosso. A pieni voti.
Non mi dispiace se il sovrannaturale resta solo accennato e fumoso.
RispondiEliminaUn film che non conoscevo, non avevo sentito che stesse per uscire.
Interessante, anche se sono storie che rischiano di farmi sentire claustrofobico...
Moz-
Ti dirò: non credo sia "claustrofobico". Dà più un senso di solitudine e inquietudine generale. Fossi in te, un'occasione gliela darei ;)
RispondiEliminaPerfetto, me lo segno :)
RispondiEliminaMoz-